Sir Andrew Davis: Fauré Masques et bergamasques, suite per orchestra op. 112

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    Auditorium Arturo Toscanini
    Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

     

    Sir Andrew Davis direttore

     

    Gabriel Fauré (1845-1924)
    Masques et bergamasques, suite per orchestra op. 112
    I. Ouverture. Allegro molto vivo
    II. Menuet. Tempo di minuetto, Allegretto moderato
    III. Gavotte. Allegro vivo
    IV Pastorale. Andantino tranquillo

     

    Gabriel Fauré
    Tratto dal libretto di sala dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

    La Parigi di fine Ottocento e inizio Novecento era il cuore delle grandi rivoluzioni estetiche: ricerche che guardavano senza paura verso il futuro. I simbolisti cercavano una strada che sostituisse il suggerire al dire. Gli impressionisti provavano a prediligere il colore alla forma. I cubisti riflettevano sulla risorsa del molteplice, intesa come lente di ingrandimento da applicare all’interiorità delle cose. C’era, però, anche una corrente espressiva che provava a dire qualcosa di nuovo, rievocando oggetti e immagini del passato, come le vecchie maschere della Commedia dell’Arte. In quella Parigi che si trascinava il suo revanscismo dalle guerre con Bismarck alle gravi tensioni che avrebbero generato la Prima Guerra Mondiale, una boccata d’aria fuori dalla porta del presente era un’esigenza primaria. Gli artisti cercavano con tutte le loro forze una via di fuga dalla realtà; c’era chi preferiva rifugiarsi negli oscuri significati delle culture esotiche, o chi sceglieva di andare a scavare nelle proprie tradizioni, sperimentando nuovi significati per le parole di sempre.

    Verlaine fu uno dei primi. Le sue Fêtes galantes nel 1868 proponevano un’evasione nella fantasticheria preziosa, l’abolizione del tempo e la trasformazione del testo poetico in partitura musicale. Nella raccolta i vecchi personaggi della Commedia dell’Arte tornano completamente spogliati di ogni comicità settecentesca. I loro volti sono sfuggenti, spesso svelano un ghigno maligno e sarcastico, non conoscono i buoni sentimenti, cantano «in tono minore», e le loro avventure si consumano alla luce di chiari di luna «tristi e belli», per usare le parole dello stesso Verlaine. Quella raccolta di poesie era destinata a lasciare un segno profondo nell’immaginazione dei musicisti. Non a caso Verlaine, nel suo fondamentale manifesto poetico (L’Art poétique), aveva esordito dicendo: «De la musique avant toute chose» (Musica, prima di ogni altra cosa). L’arte dei suoni, con il suo genetico scollamento dall’universo dei significati espliciti, era un punto di riferimento assoluto per i poeti simbolisti. Era inevitabile che quella stagione artistica cercasse un contatto molto stretto tra musica e letteratura; e i compositori raccolsero l’invito cominciando ad abbeverarsi con sempre maggiore frequenza alle fonti di quella generazione di scrittori che ambiva a fare musica con i versi.

    Fu così che il mondo delle Fêtes galantes divenne un serbatoio inesauribile di immagini da consegnare alla sensibilità dei musicisti. Debussy ne fece un ritratto immortale nella sua Suite bergamasque e in due raccolte di mélodies. E anche Gabriel Fauré si lasciò sedurre dai versi di Verlaine in Masques et bergamasques, una raccolta di brani musicali che riprende testualmente un’espressione usata in Claire de lune (la pagina che apre Fêtes galantes). L’opera fu completata piuttosto tardi, nel 1919, quando il vento della grande stagione simbolista cominciava a indebolirsi. Ma in realtà molti dei brani contenuti nella raccolta risalivano a diversi anni addietro.

    La commissione venne dal Principe di Monaco, che aveva bisogno di un accompagnamento musicale per un divertissement danzato sulle scene di René Fauchois. Per la corte del Principato doveva essere un semplice sottofondo musicale da associare a una pièce di argomento galante. Per Fauré invece era un ultimo omaggio a una poetica che aveva lasciato segni indelebili su tutta la cultura francese di inizio Novecento.

    Otto brani, strumentali e vocali, formano la composizione. Ma lo stesso autore decise di pubblicare separatamente i lavori orchestrali, realizzando una suite di quattro pagine. Naturalmente il linguaggio di Fauré non riflette le stesse inquietudini semantiche e sintattiche che hanno reso grandi le analoghe raccolte di Debussy.

    L’Ouverture scorre con la grazia piacevole di un brano settecentesco pensato per orecchie distratte. Il Minuetto e la Gavotta riprendono i passi garbati di danze che profumano di ancien régime. E anche la Pastorale conclusiva non nasconde il suo sguardo rétro, rievocando la sfera bucolica delle melodie all’aria aperta e dei ritmi indolenti come la vita di una collettività costretta a seguire i lenti ritmi del mondo animale. Fauré ricorre a Verlaine per rievocare con eleganza un mondo impolverato dal trascorrere dei secoli; ma il suo sguardo non sembra essere influenzato dai lato oscuri della poesia simbolista; e la sua musica scorre davanti agli occhi dell’ascoltatore con quella educata raffinatezza che stava per scomparire definitivamente dall’estetica del Novecento.

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