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Cenni storici

A Torino nel maggio 1976 ebbe inizio un processo unico nella storia della Giustizia italiana, quello al nucleo storico delle Brigate rosse. Quarantasei imputati, undici dei quali detenuti (tra di loro Alberto Franceschini, Prospero Gallinari, Renato Curcio, Maurizio Ferrari), ai quali venne contestato, per la prima volta dal 1945, il reato di "costituzione di banda armata finalizzata al sovvertimento violento dell'ordine democratico e delle sue istituzioni".

Quel processo fu un evento eccezionale, da ricordare a trentatre anni dal suo inizio e a trentadue da uno dei suoi momenti più drammatici: l'assassinio, avvenuto il 28 aprile 1977, del Presidente dell'Ordine degli avvocati del Piemonte Fulvio Croce.

Ma quel processo rappresentò in verità qualcosa di ancora più straordinario, non tanto dal punto di vista della cronaca giudiziaria, quanto per i problemi giuridici e per le implicazioni tecniche che provocò: la condotta in aula degli imputati, decisi a scardinare le regole del "processo borghese", si concretizzò, infatti, nel rifiuto di riconoscere allo Stato il diritto-dovere di giudicare, nella negazione delle regole del sistema giudiziario e nella messa in scena del primo e unico "processo guerriglia" della storia repubblicana italiana. Il processo contro il nucleo storico delle Brigate rosse iniziò nel maggio 1976 e si concluse, oltre due anni più tardi, nel giugno 1978. In quei ventiquattro mesi l'offensiva del partito armato organizzò e mise in pratica quel salto di qualità che si sarebbe poi concretizzato in via Fani, il 16 marzo 1978, con il rapimento di Aldo Moro e l'uccisione degli uomini della sua scorta.

In quei ventiquattro mesi il processo di Torino subì infiniti rinvii e sospensioni per la difficoltà, dapprima, nel nominare i difensori d'ufficio degli imputati, continuamente sottoposti alle minacce e alle intimidazioni dei brigatisti, poi per l’impossibilità di comporre la giuria popolare. Dopo l'omicidio dell'avvocato Croce, e in seguito a un'offensiva incalzante, i cittadini chiamati a farne parte declinavano sistematicamente l'invito, presentando alle cancellerie dei tribunali certificati di sindrome depressiva che, in realtà, testimoniavano il clima di terrore che aleggiava sul processo e dinanzi al quale non c'era ragion di Stato o senso civico.

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