Juraj Valčuha: Berg - Strauss, Marlis Petersen soprano

in onda giovedì 19 aprile 2012 alle 1.35

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    Auditorium Arturo Toscanini di Torino

    Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

     

    Juraj Valčuha direttore

    Marlis Petersen soprano


    Alban Berg (1885-1935)

    Der Wein (Il vino), aria da concerto per soprano e orchestra
    su testo di Charles Baudelaire tradotto da Stefan George

     

    Richard Strauss (1864-1949)

    Die Frau ohne Schatten (La donna senz’ombra) op. 65
    Fantasia sinfonica su temi dell’opera

     

    Alban Berg

    Der Wein (Il vino), aria da concerto per soprano e orchestra
    su testo di Charles Baudelaire tradotto da Stefan George

    Die Seele des Weines (L’anima del vino)
    Der Wein der Liebenden (Il vino degli amanti)
    Der Wein des Einsamen (Il vino del solitario)

    Tratto dal programma di sala dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

    Per due volte, la prima poco dopo l’inizio, l’altra giusto alla fine, gli otto lunghi anni di gestazione della Lulu, seconda opera di Berg, vanno incontro a un‘interruzione. Sono tutte e due giustificate da altrettante commissioni, troppo allettanti economicamente per poter essere ignorate; ma se quella per il Concerto per violino, nel ’35, l’anno della morte, porta con se gran parte delle responsabilità per l’incompiutezza di Lulu, la prima, del ’29, lungi dal rivelarsi una distrazione dal compito, è apparsa quasi provvidenziale. Poi, un conto è il posto che le opere

    d’arte occupano nelle biografie degli autori, un altro il valore che assumono nella loro storia successiva. Con gli anni, mentre il Concerto è diventato il lavoro più amato di Berg, l’aria Der Wein si è fatta sommergere e oscurare dalla Lulu, di cui è apparsa come un semplice cartone preparatorio, un preliminare esercizio di stile, privandosi proprio di quel carattere di unicità che, in un catalogo tanto smilzo come quello di Berg, hanno tutte le altre composizioni.

    Der Wein è l’espressione della profonda vicinanza di Berg con il mondo poetico di Baudelaire; un’adesione spirituale mai ancora manifestata in modo esplicito (per esempio in uno dei suoi numerosissimi Lieder), ma vissuta così intimamente da averlo portato a comporre, come si è scoperto qualche tempo fa, una parte dell’ultimo movimento della Suite lirica per quartetto d’archi, dunque un lavoro squisitamente strumentale, sulle parole di un’altra poesia de Les Fleurs du mal (De profundis clamavi). Il tono baudelairiano, il suono ≪d’une musique énervante et câline≫ evocato dalla terza poesia, Il vino del solitario, è inconfondibile; anche se Baudelaire è qui passato attraverso il filtro della traduzione, tra l’altro decisamente libera, di Stefan George.

    E’ importante sapere che il testo è stato musicato in una doppia veste, sia nella traduzione di George sia nell’originale francese: una versione che sfortunatamente non si ascolta mai. Delle cinque poesie che all’interno dei Fiori del male formano il ciclo Le Vin, il compositore ne esclude due e organizza le altre nella più classica delle costruzioni tripartite, A-B-A’, con la lirica centrale quasi in funzione di Scherzo, e l’ultima che riprende in forma liberamente accorciata la musica della prima. Questa forma ad arco risulta ancora più accentuata se si

    osserva che, dopo la pausa successiva all’ultimo verso del Vino degli amanti, la musica riprende a ritroso i propri passi e li ripercorre in verso opposto. Come un tempo che si avvolge in se stesso, indifferente a una volontà di avanzare. Messa così in risalto, la poesia centrale, la più fantasiosa e leggera, radiosamente visionaria nell’originale francese, con l’immagine dei due amanti ≪Mollement balancés sur l’aile/Du tourbillon intelligent≫ (che mollemente dondolano sull’ala del turbine intelligente), lascia intendere, con il suo eccesso di passione, il

    problema Baudelaire, la difficoltà di ogni sua traduzione in musica: garantirle un massimo di fedeltà, allontanandosi il più possibile dal secolo a cui appartiene, l’Ottocento. Ma è giusta, e interamente baudelairiana, la scelta di Berg di muoversi fra dimensioni estreme, fra livelli stilistici divaricati, in un rischioso connubio; si contrappongono così l’ideale di una vocalità fluida, lirica, espansa come una melodia infinita, e la volgarità di una musica da balera, un tango, sgangherato, squallido, lontano da ogni possibilità d’idealizzazione e assunto a simbolo

    di un mondo mercificato. Ancora più riuscito, in brevi e densissimi episodi strumentali da cui emerge il suono carico di sesso del sassofono - l’introduzione, l’interludio “retrogrado” fra la seconda e la terza lirica e la conclusione – quel senso di disfacimento che forse non è fra i temi di queste liriche, ma certo scava nell’intimo della poesia di Baudelaire.

    ERNESTO NAPOLITANO

    (dagli archivi Rai)


     

    Richard Strauss

    Die Frau ohne Schatten (La donna senz’ombra) op. 65
    Fantasia sinfonica su temi dell’opera

    L’opera-fiaba di Strauss e Hofmannsthal

    Tratto dal programma di sala dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

    La prima traccia dell’idea di un’opera-fiaba è un abbozzo del librettista Hugo von Hofmannsthal, datato 26 febbraio 1911, un mese esatto dopo la prima rappresentazione

    del Rosenkavalier. La conclusione del progetto arriverà il 10 ottobre 1919, con la prima all’Operntheater di Vienna. Otto anni e mezzo durante i quali non solo venne alla luce un capolavoro, ma cambiarono la storia dell’Europa e del mondo intero. Innanzitutto l’opera-fiaba si intrecciò con altre due collaborazioni tra Strauss e Hofmannsthal: Ariadne auf Naxos e il balletto Die Josephslegende. Nel 1913 era pronto il testo delle prime scene; il primo atto fu concluso nell’aprile del 1914 e Strauss potè iniziare a comporre, con un certo entusiasmo:

    ≪[…] è semplicemente stupendo e così concentrato e coerente che non potrei immaginare tagliata o cambiata neppure una virgola≫. Lo stesso per il secondo atto, che conobbe in luglio: ≪[…] è meraviglioso, l’arduo problema dell’apparizione del fanciullo è risolta con tatto e sensibilità colossali, le due scene dell’imperatore e dell’imperatrice magnifiche e la conclusione dell’atto grandiosa al massimo≫. Nel 1915 il testo fu completato, nonostante Hofmannsthal avesse assunto nel frattempo prima l’incarico di ufficiale e poi quello di diplomatico. Il 28 giugno 1917 la partitura fu terminata, ma l’opera risultò talmente complessa da non poter certamente essere messa in scena in tempo di guerra. Il conflitto finì, con esiti catastrofici per Germania e Austria; l’11 ottobre 1918 Strauss accettò la direzione del Teatro dell’Opera di Vienna, che era una città devastata. Lì, un anno dopo, Die Frau ohne Schatten andò in scena per la prima volta.

    Il soggetto

    Le fonti dell’opera sono innumerevoli: Le mille e una notte, le antiche leggende indiane e persiane, i racconti del fratelli Grimm, le opere del Romanticismo tedesco come Lohengrin e Parsifal; l’imperatrice (la donna priva di ombra) è una sorella della Sirenetta di Andersen, di Loreley, Rušalka e Melusina; ma il riferimento più evidente è senza dubbio Il Flauto Magico di Mozart, per i significati simbolici che racchiude, per il percorso iniziatico che vi si svolge, e per l’interazione tra il mondo umano e quello fatato.

    Atto I. La figlia del signore degli spiriti, Keikobad, trasformatasi in umana ha sposato l’imperatore. I due si amano, ma la loro unione ha qualcosa di incompleto: l’imperatrice è priva di ombra e non può avere figli. Un giorno, un messo di Keikobad annuncia alla balia dell’imperatrice che se la donna non acquisterà l’ombra entro tre giorni l’imperatore sarà tramutato in pietra. La balia e l’imperatrice cercano nel mondo degli uomini qualcuno che voglia barattare la propria ombra con ricchezze di ogni tipo. Trovano un povero tintore, la cui moglie, bellissima e algida, non vuole avere figli per preservare la sua bellezza. Le prospettano lo scambio e la lasciano col marito, da cui lei si tiene a debita distanza.

    Atto II . L’imperatrice raggiunge l’imperatore presso il padiglione del falconiere; lei emana ≪odore di uomo≫ e l’imperatore crede che lo abbia tradito. Vorrebbe ucciderla, ma non ne ha il coraggio e fugge. Nella casa del tintore la moglie schernisce il marito, dicendo di aver venduto la propria ombra e di non voler avere figli. L’uomo vorrebbe ucciderla ma non ne ha la forza. La donna capisce cosa sia l’amore, decide di non vendere più l’ombra e di avere figli.

    Atto III. Nel regno di Keikobad, sotto terra, il tintore e sua moglie sono vicini ma irrimediabilmente separati; in questo modo comprendono definitivamente l’importanza dell’amore. L’imperatrice vede l’imperatore pietrificato, ma rinuncia a sottrarre l’ombra alla moglie del tintore, per non negarle la felicità. Accetta così lo stesso destino del suo sposo. In questo modo conquista il pieno dominio di sé e ottiene una sua ombra. L’imperatore torna a vivere, il tintore e la moglie sono riuniti e le due coppie possono abbracciarsi.

    La suite orchestrale

    Strauss si dimostrò subito più interessato alla coppia umana dei tintori piuttosto che alla coppia imperiale, forse troppo fredda e artificiosa. Questa posizione gli creò anche qualche conflitto con Hofmannsthal, che si considerò un po’ incompreso, e scrisse, parallelamente al libretto dell’opera, una versione teatrale del soggetto, andata anch’essa in scena nel 1919, a Berlino. La risposta di Strauss arrivò ventisette anni dopo: nel 1946 creò una Fantasia sinfonica dall’opera, dando spazio esclusivamente agli elementi musicali della coppia dei tintori. Nella Fantasia non resta praticamente traccia della presenza invisibile dei non nati, della principessa senza ombra, e di tutte le ambizioni cosmiche e metafisiche di Hofmannsthal; è un brano orchestrale che narra la vicenda molto terrena di due umani che si amano, anche attraverso screzi e contrapposizioni. La dimensione è privata, intima, ed è esattamente quello che ci si poteva aspettare dall’autore della Sinfonia domestica e di Intermezzo. Strauss aggiunge così un altro tassello alla sua complessa riflessione sul matrimonio come approdo naturale della vita e unica autentica via verso la felicità.

    ANDREA MALVANO

    (dagli archivi Rai)

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