Pascal Rophé: Poulenc, Sinfonietta - Debussy, Deux danses. Margherita Bassani arpa

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    Auditorium Arturo Toscanini di Torino
    Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

     

    Pascal Rophé direttore
    Margherita Bassani arpa

     

    Claude Debussy (1862 - 1918)
    Deux dansesper arpa e orchestra d’archi (1904)

    Francis Poulenc (1899 - 1963)
    Sinfonietta (1947)

     

    Tratto dal programma di sala dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

    Claude Debussy
    Deux dansesper arpa e orchestra d'archi (1904)
    Danse sacrée. Très modéré
    Danse profane. Modéré

    Claude Debussy adorava l’arpa: uno strumento ancestrale, uno dei più antichi, la cui timbrica poteva evocare sonorità evanescenti, trasparenti, arcaiche, lontane; quelle stesse tessiture sfumate e confuse tanto care all’ambiente impressionista della Parigi della “fin de siècle”. L’arpa ha conservato una fattura praticamente inalterata fino all’inizio del XIX secolo, quando il costruttore Sébastien Érard (celebre rifornitore di strumenti del Conservatorio di Parigi) inventò un sistema di pedali per l’intonazione, rendendo più semplice e funzionale la meccanica dello strumento e consacrando la versione cosiddetta “diatonica” che oggi ascoltiamo nelle sale da concerto. Un coraggioso tentativo di modificare ancora l’assetto dell’arpa – e contrastare il monopolio del colosso “Érard” - era stato compiuto a Parigi dall’ingegnere e musicista Gustave Lyon, della nota ditta di costruzioni “Pleyel”, sul finire dell’ottocento: la sua arpa “cromatica” non aveva pedali bensì moltissime corde, una per ogni nota, per coprire l'intero totale cromatico. Nel 1904 il Conservatorio di Bruxelles aveva creato un corso specifico su questa tipologia di arpa: quale occasione migliore per la “Maison Pleyel” di promuovere sul mercato il suo nuovo strumento? Mancava giusto una composizione con cui i giovani studenti potessero cimentarsi e che mettesse in luce le innovative caratteristiche e potenzialità dell’arpa cromatica. E qui la ditta non ebbe dubbi su quale compositore ingaggiare per questo compito: Debussy era perfetto. Nacquero con questo fine le Deux danses per arpa cromatica e orchestra d’archi, la Danse sacrée e la Danse profane, ascoltate per la prima volta in concerto a Parigi il 6 novembre 1904 con la direzione di Édouard Colonne e con Lucille Wurmser-Delcourt come solista. Dall’accostamento sonoro dell’arpa e degli archi, Debussy ricavò un impasto timbrico magico e sospeso. La Danse sacrée, dal tempo molto moderato, ha il sapore “modale” del mondo arcaico che si ritrova anche negli accordi statuari di Danseuses de Delphes (Danzatrici di Delfi) nel I libro dei Preludi per pianoforte di Debussy. Gli accordi in successione dell’arpa, accompagnata lievemente dagli archi, riportano indietro nel tempo, all’antichità classica; e quando lo strumento solista si fa più timido, emerge la profonda e lirica melodia all’orchestra d’archi. Il direttore d’orchestra Ernst Ansermet - che diresse svariate composizioni debussyane - sostenne che la Danse sacrée era stata ispirata dalla Danse du voile del musicista portoghese Francisco de Lacerda, che proprio nel 1904 aveva vinto un concorso di composizione indetto da «Le Figaro». La Danse profane, dal chiaro ritmo ternario, culla l’ascoltatore trasportandolo attraverso una danza fluttuante a tratti dalla sonorità densa, riempita di abbellimenti e scale dell’arpa, altri più scarna e rarefatta. Al primo tema sincopato succede il secondo, che al compositore spagnolo Manuel de Falla richiamò alla mente l’amata Spagna; quella stessa atmosfera spagnoleggiante che è accostabile ad altre opere di Debussy quali i preludi per pianoforte la Sérénade interrompue e La puerta del Vino. E se l’arpa cromatica di “Pleyel” cadde ben presto in disuso per gli evidenti limiti tecnici e meccanici (tra cui l’eccessiva dimensione e la difficoltà di accordatura), così non fu per la coppia di Danze del compositore francese che, adattandosi perfettamente anche all’arpa diatonica, rimasero in repertorio perdurando sino ai giorni nostri.

    Irene Sala

     

    Francis Poulenc
    Sinfonietta(1947)
    Allegro con fuoco
    Molto vivace
    Andante cantabile
    Finale. Prestissimo et très gai

    Danza senza danzatori
    Poulenc cominciò a comporre la Sinfonietta nel 1947, in risposta a una commissione della BBC. Ma il lavoro procedette molto lentamente, e il ritardo nella consegna dell’opera causò una brusca rottura con la BBC. La prima esecuzione slittò dunque all’anno successivo e venne affidata alla Philharmonia Orchestra; nel settembre del 1948 la partitura fu finalmente terminata, giusto in tempo per il concerto del 24 ottobre, con Roger Désormière sul podio. È stata data una definizione molto calzante della Sinfonietta: «Musica di danza senza danzatori»; e in effetti Poulenc ha posto in quest’opera un’estrema e costante attenzione a tutti gli strumenti coinvolti, come se cercasse di far corrispondere al loro suono un movimento coreografico. Quasi una ricerca illusionistica, volta a ricreare effetti plastici e di moto dentro l’orecchio dell’ascoltatore, unicamente con l’ausilio del suono. Si tratta di un raffinatissimo jeu d’esprit, in evidente omaggio alla chiarezza di Mozart, alla gaiezza di Haydn, e alla forma sinfonica nella quale entrambi eccellevano. L’Allegro con fuoco d’apertura schiude da subito sonorità davvero fiammeggianti, per sviluppare poi quelle movenze coreutiche caratteristiche di tutto il lavoro. Il secondo movimento è uno scherzo leggero e ironico, giocato con un sapientissimo dosaggio dei timbri. L’ampio movimento lento porta la semplice e piana cantabilità iniziale verso apici di intensità emotiva inaspettati, che si risolvono poi in un Finale incredibilmente vitalistico, nel quale l’aspetto mercuriale, caratteristico della musica di Poulenc, prende il sopravvento. L’editore della Sinfonietta, al momento della pubblicazione, espresse un giudizio sulla partitura che ne riassume bene lo spirito ed è anche un avvertimento: «È Poulenc!».

    Andrea Malvano
    (dagli archivi Rai)

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