Juraj Valcuha: Musorgskij - Šostakovic Concerto n. 1, Sol Gabetta violoncello

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    Auditorium Arturo Toscanini di Torino
    Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

     

    Juraj Valčuha direttore
    Sol Gabetta violoncello

     

    Modest Musorgskij (1839-1881)
    Chovanščina, Preludio (Alba sulla Moscova)
    (orchestrazione di Dmitrij Šostakovič, op. 106)


    Un lavoro d’équipe
    Tratto dal programma di sala dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

    La storia della Chovanščina é sostanzialmente la storia di un lavoro d’équipe. Mi spiego. Musorgskij vi lavorò tra il 1872 e il 1880, vale a dire proprio negli ultimi anni di vita. L’intenzione era quella di scrivere una trilogia di argomento storico, composta dal Boris Godunov, la Chovanščina appunto, e un’opera mai nemmeno iniziata dal titolo La rivolta di Pugačëv. Quanto al Boris il progetto andò interamente in porto nel 1873, dopo un paio di revisioni; ma in seguito alla morte di Musorgskij (nel 1881) l’opera fu rimaneggiata battuta per battuta da Rismkij-Korsakov, che si prese la licenza di intervenire direttamente sulla partitura, lamentando alcuni gravi “errori” in fatto di orchestrazione e armonia. La pratica era piuttosto consueta nella cerchia dei Cinque (Musorgskij, Cui, Balakirev, Rimskij-Korsakov, Borodin): tutti compositori autodidatti, o comunque legati alla musica da un impegno non professionistico. Ma con la Chovanščina la situazione era ancora più delicata: Musorgskij aveva lasciato compiuta solo la stesura per canto e pianoforte; quindi un intervento era davvero necessario, non semplicemente auspicabile in virtù di alcune supposte migliorie tecniche.

    A caricarsi per primo la responsabilità sulle spalle anche in questo caso fu Rimskij-Korsakov, che nel 1882 orchestrò la Chovanščina consegnando al Teatro Kononov di San Pietroburgo una partitura pronta per l’uso (la prima rappresentazione avvenne il 9 febbraio del 1886). Ma quell’evento non lasciò alcuno strascico nel mondo musicale russo, che finì per affossare nell’oblio l’ultima fatica teatrale di Musorgskij. Stando alla cronologia, la seconda rappresentazione avvenne solo nel 1911, al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo con la direzione di Albert Coates. Due anni dopo la partitura passò anche sotto le mani di Stravinskij e Ravel, alle prese con un adattamento parigino per i Ballets Russes di Djagilev. Ma anche quel nuovo arrangiamento cadde presto nel dimenticatoio, e fu Šostakovič a tornare per l’ultima volta sull’opera lasciata incompiuta da Musorgskij: nel 1959 approntò un’altra orchestrazione della Chovanščina, che, dopo essere stata usata per un adattamento cinematografico, divenne l’edizione di riferimento per tutte le rappresentazioni successive (talvolta con il finale di Stravinskij). La vicenda allude a un’intricata storia d’amore all’epoca della rivolta degli strel’cy (i cosiddetti ≪vecchi credenti≫ che si opposero tra il 1666 e il 1667 alle scelte ortodosse della Russia zarista).

    Tra le pagine strumentali dell’opera che hanno raggiunto la fama anche lontano dal palcoscenico, spiccano la Danza delle schiave persiane e il Preludio. Quest’ultima si distingue nell’introduzione per un colore etereo che ricorda a tratti l’evanescenza del Lohengrin di Richard Wagner; un modo perfetto per scivolare senza traumi in un universo remoto, che prende forma pian piano, prima di abbandonarsi, con il tono della ballata leggendaria, ai suoni del “c’era una volta”: quei temi dal sapore antico che riescono nella magia di farci dimenticare il presente.

     

    Dmitrij Šostakovič (1906-1975)
    Concerto n. 1 in mi bemolle maggiore op. 107
    per violoncello e orchestra
    Allegretto
    Moderato
    Cadenza
    Allegro con moto


    Un concerto per Rostropovič

    La fama dei concerti per violoncello e orchestra di Šostakovič è strettamente legata al nome di Mstislav Rostropovič. Fu difatti il grande violoncellista russo (scomparso nel 2007) l’ispiratore, il dedicatario, nonchè il primo interprete dei due lavori. Nel caso del Primo Concerto il legame potrebbe essersi addirittura cristallizzato nella scrittura musicale, visto che tutta la composizione sfoggia un mèlos orientaleggiante, plausibilmente ispirato alla città nativa di Rostropovič, la musulmana Baku (in Azerbajdžan). Ma forse lo stesso tono sostanzialmente gaio ed estroverso della composizione potrebbe rimandare a quel carattere solare e profondamente affabile che ha sempre garantito affetto e riconoscenza a Rostropovič, anche lontano dalle sale da concerto. La prima esecuzione avvenne il 4 ottobre del 1959 a Leningrado, sotto la direzione di Mravinskij. La Russia di quegli anni, dopo la morte di Stalin (1953), stava voltando pagina. Il formalismo, la terribile etichetta che aveva perseguitato per decenni gli artisti incapaci di seguire le direttive del Partito, stava per crollare sotto i colpi di una rinnovata coscienza artistica. Šostakovič finalmente poteva liberare quella creatività che aveva duramente represso per tanti anni; poteva scrivere un’opera serena come il Primo Concerto per violoncello o un monumento di tetraggine come il Quartetto op. 110; l’unica sovranità a cui sentiva di doversi attenere era quella della sua stessa ispirazione. Non a caso le opere di quel periodo (concerti per violoncello compresi) utilizzano continuamente il tema ≪re-mib-do-si≫, alter ego melodico, secondo la notazione tedesca, della sigla D. SCH: quasi come se Šostakovič, insistendo sulle sue iniziali, volesse rivendicare a chiare lettere la paternità assoluta di una produzione finalmente libera da ingerenze esterne. Nel Primo Concerto per violoncello tutto profuma di rinascita; fin dalla scelta di utilizzare un tempo grazioso come l’Allegretto (rarissimo in Šostakovič) per il primo movimento. In questa pagina ogni elemento melodico balzella con sagace umorismo (e il violoncello ad aprire le danze), senza scivolare troppo in quel mondo grottesco che nella produzione sinfonica sogghigna con gli occhi iniettati di sangue. Il tempo è imprigionato in un metro binario, che da l’impressione di non saper contare fino a tre; proprio come se Šostakovič volesse dare un tono ludico e infantile al suo lavoro concertistico. Il Moderato, suggestivo nelle sue linee a tratti popolareggianti, si fa portare da una pacata successione di pizzicati dei contrabbassi. Dopo le risate infantili del primo movimento, l’impressione è quella di tornare a vivere in un mondo profondamente adulto; come se quei giochi non fossero stati in grado di spazzare via la malinconia di chi è stato costretto a dimenticare ogni forma di divertimento. Il brano si prolunga in una lunga cadenza solistica, che lascia al violoncello tutto il tempo di risollevarsi dall’opprimente atmosfera del Moderato; e cosi Šostakovič alla fine dell’episodio si trova tra le mani, senza brusche voltate di pagina, un personaggio solistico già bell’è pronto per la chiusura del Concerto, e nello stesso tempo vicino al clima espressivo del primo movimento (la ripresa ciclica del tema nella coda ne è la prova): chiassoso e ottimista come un uomo maturo che si sente improvvisamente rinascere.

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