Antonio Pappano: Haydn Sinfonia n. 104 “London”

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    AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA
    Sala Santa Cecilia

    Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
    Antonio Pappano

    direttore
    Franz Joseph Haydn
    Sinfonia n. 104 in Re maggiore “Londra”
    Adagio. Allegro
    Andante
    Minuetto. Allegro
    Finale. Allegro spiritoso


    Data di composizione
    1795
    Prima esecuzione
    Londra
    4 maggio 1795
    Direttore
    Giovan Battista Viotti
    Organico
    2 Flauti, 2 Oboi,
    2 Clarinetti, 2 Fagotti,
    2 Corni, 2 Trombe,
    Timpani, Archi

    Tratto dal programma di sala dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
    La Sinfonia “Londra” di Haydn


    «... Una nuova sinfonia in re maggiore, la dodicesima e ultima delle “inglesi”... Pubblico soddisfatto e anche io. Stasera ho guadagnato 4.000 fiorini. Una tal cosa è possibile solo in Inghilterra». Uomo pragmatico, Haydn: un occhio al pubblico e uno alla borsa, e ciascuno sia libero di interpretare se il commento con cui il compositore chiude questa annotazione (tratta dai suoi diari londinesi) è da considerarsi ironica o piuttosto una dichiarazione ammirata delle possibilità che il mondo riservava al di fuori della corte degli Esterházy (la cui pensione annua, detto per inciso, ammontava a 1.000 fiorini).

    Un microcosmo all’interno del quale, come è noto, si svolge la maggior parte dell’attività di Haydn, dove ha modo di elaborare e portare a un grado di cristallina perfezione forme musicali che, tanto per il genere cameristico quanto per il sinfonico, saranno destinate a diventare un modello per tutte le corti d’Europa e un paradigma dell’estetica classica.

    Una realtà dalla quale Haydn ha modo di uscire nel 1790, quando arriva a Londra per la prima volta, a cinque mesi dalla morte del Principe Nikolaus e a poche settimane dal suo incontro con l’impresario Johann Peter Salomon, cui si deve la proposta di commissionare al compositore austriaco una serie di Sinfonie da eseguire nella capitale inglese, sotto la direzione dell’autore. Alla soglia dei sessant’anni si apre, dunque, per Haydn una nuova stagione, la più fortunata della sua carriera che terminerà all’apice del successo.

    Sul piano musicale, il passaggio dagli Esterházy alle sale da concerto londinesi si manifesta in una trasparente volontà di forzare i limiti di schemi formali collaudati e di verificare ulteriori possibilità di scrittura, anche in considerazione della disponibilità di un organico orchestrale di gran lunga superiore, soprattutto nella sezione degli archi, a quello di Eisenstadt/Esterháza. Una condizione decisamente rigenerante, in parte preparata dalla precedente esperienza con la società parigina “Le Concert de la Loge Olympique”, per la quale tra il 1785 e il 1786 aveva composto una serie di sei Sinfonie, note appunto come “Parigine”.

    Sono in tutto dodici le Sinfonie che Haydn appronterà per le stagioni concertistiche organizzate da Salomon e successivamente dall’Opera Concert: le prime sei in occasione della permanenza londinese negli anni 1790-91, le altre per il suo ritorno nelle stagioni 1794-95. Con il numero di catalogo 104, la Sinfonia in re maggiore chiude non solo il ciclo delle “Londinesi”, ma l’intera esperienza di Haydn con il genere sinfonico. Come osserva Howard Robbins Landon, il maggiore studioso dell’opera haydniana, le Sinfonie nn. 102-104 “mostrano una concentrazione di intelligenza musicale che le rende le più solide e le più impegnate di tutte le dodici sinfonie composte per Londra”. Il commiato dal genere sinfonico avviene nel segno della consapevolezza di una classicità e di una compostezza formale che garantisce al suo interno l’infinita gamma delle passioni umane, espressa nei termini della retorica musicale.

    La Sinfonia “London” si apre nel più pomposo dei modi: un accordo all’unisono in fortissimo seguito dal tipico inciso di marcia puntato, in sé una delle formule d’apertura (e non solo) più ricorrenti nel campionario dei “luoghi comuni” del classicismo. La funzione di questa semplice ma efficacissima figura, non priva di una latente venatura funerea, è proprio quella di fissare in un motto lapidario l’appartenenza a uno status estetico di classicità. Non c’è battuta dell’Adagio introduttivo in cui questo inciso essenzialmente ritmico non venga ribadito e sottoposto, come è nella sua natura, a contrasti dinamici (per tre volte lo si ascolta in fortissimo, per il resto in piano) e decine di varianti melodiche, benché sempre nell’ambito di un solo intervallo, in un clima espressivo di pathos d’ordinanza ottenuto tramite il ricorso a semitoni discendenti e a fuggevoli dissonanze. Dopo una brevissima cesura, Haydn affida l’avvio dell’Allegro a un tema costruito prevalentemente per moto congiunto ed esposto sommessamente dai soli archi, che ammorbidisce il contrasto con l’introduzione ed esalta contemporaneamente il pieno orchestrale del momento successivo abitato da un’energia dirompente e da una fierezza di carattere, eco espressiva della seriosa finzione introduttiva.

    Come nella gran parte delle Sinfonie “Parigine” e “Londinesi”, il passaggio modulante scaturisce come una naturale elaborazione del materiale tematico appena presentato, dilatato e valorizzato tramite invenzioni timbriche al cui confronto la seconda idea tematica appare volutamente indebolita, con il suo profilo gracile e dimesso che riflette quello del primo tema, da cui è evidentemente ricavato. Lo sviluppo elabora essenzialmente i motivi del primo tema in una progressione di modulazioni in tonalità minori, mentre la ripresa si arricchisce di un paio di brevi passaggi di raccordo, il primo affidato a flauti e oboi soli, il secondo agli archi che si dilungano in una piatta figurazione ribattuta che prelude alla ricomparsa del secondo tema e alla conclusione.

    Lungi dal rappresentare un elemento di novità, il tema variato si conferma la forma privilegiata da Haydn per il secondo movimento di Sinfonia. L’equilibrio formale, la raffinatezza motivica e la maestria dell’orchestrazione raggiunti nel corso degli anni sembrano immunizzare questa formula da ulteriori perfezionamenti e non vi è alcuna esigenza di modifiche strutturali. Osserviamo solo come la perfezione apollinea del tema dell’Andante – che si presenta scandito limpidamente nelle sue componenti sintattiche, come un’analisi di se stesso – sembra rendere superflua in questo caso ogni trasformazione,
    al punto da ridurre al minimo le varianti, prevalentemente ornamentali, cui è sottoposto nelle sue ripetizioni.

    Il timbro scuro dei legni, che nelle ultime “Londinesi” si arricchisce dei clarinetti, introduce la sezione centrale, vero cuore pulsante dell’Andante, con la flessione modale in minore, il rivestimento ritmico degli archi e il continuo gioco delle finzioni drammatiche.
    L’orchestra al completo scandisce un’altra finzione, questa volta militaresca, nel Minuetto che esibisce uno degli arresti melodici tipici (e qui più temerari) della scrittura haydniana: un accordo staccato, nel registro acuto e sul tempo debole, lasciato in sospeso, sul finire dell’esposizione.

    L’ultimo atto del sinfonismo haydniano (Allegro spiritoso) è un omaggio alla tradizione popolare inglese e si apre con il caratteristico pedale basso di musette affidato al corno, che sostiene un tema di danza rimbalzante tra archi e fiati.
    Con le Sinfonie “Londinesi” Haydn saluta definitivamente l’ancient régime della Sinfonia  classica, di cui era stato un pilastro essenziale, ma al contempo getta le basi su cui, di lì a qualche anno, Beethoven muoverà per aprire la strada a un pensiero musicale innovativo e soggettivo, e soprattutto deciso nel liberarsi dalle finzioni dei “begli argomenti”.

    Il Maestro Antonio Pappano ci parla della Sinfonia "London" e del periodo inglese di Haydn
    Guarda l'intervista


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